Con l’espressione “consenso informato” si fa riferimento alla necessità, per il medico, di acquisire il parere favorevole del paziente prima di sottoporlo a cure che potrebbero essere particolarmente invasive, come ad esempio un’operazione chirurgica. Si parla di consenso “informato” appunto perché è preciso compito del sanitario quello di illustrare al paziente le finalità e le modalità della cura che gli viene prospettata.

La mancata richiesta del consenso comporta che il paziente veda compromesso il proprio diritto all’autodeterminazione, in quanto, a causa del deficit informativo, egli non è messo nelle condizioni di poter decidere liberamente come curarsi. Secondo la Cassazione (sentenza n. 7248 del 2018), la mancata acquisizione del consenso informato è fonte autonoma di danno, a prescindere dal fatto che la cura applicata abbia apportato complicazioni ovvero abbia portato alla guarigione. Chiaramente, nel primo caso sarà individuabile sia un danno per la mancata acquisizione del consenso che un danno alla salute; nel secondo caso, invece, il danno per la mancata consultazione informata del paziente sussisterà nella misura in cui il paziente si sia trovato a subire le conseguenze dell’intervento (anche in termini di stress, per esempio) senza essere stato posto nelle condizioni di essere preparato ad affrontarle. In ogni caso, chiude la Cassazione, si potrà parlare di valida acquisizione del consenso solamente quando la stessa avvenga in forma scritta: non è possibile, quindi, pensare di acquisire correttamente il consenso oralmente.

(avv. Andrea Martinis)