La recentissima sentenza n. 20615/16 della Corte di Cassazione fornisce, pur nella sua sinteticità, alcuni utili elementi utili per delimitare e definire i contorni della risarcibilità del danno derivante dalla diffusione di dati personali, quello che viene comunemente indicato come “lesione alla privacy”.

Nella fattispecie, un Comune aveva pubblicato sul proprio sito Internet il testo delle delibere con cui era stata decisa la costituzione in giudizio in due cause di risarcimento danni promosse contro il Comune, una per un sinistro stradale, l’altra per una caduta. Nel primo caso erano stati pubblicati il nominativo del danneggiato, unitamente alla targa dell’autovettura; nel secondo, si menzionava il danno riportato (caduta e lesione al ginocchio). Secondo la Corte, gli estremi per il risarcimento del danno alla privacy mancano, in quanto:

a) la pubblicazione era legittima, in quanto prevista normativamente;

b) i dati diffusi erano quelli strettamente indispensabili per identificare le cause e comunque non vertevano su aspetti sensibili; inoltre, considerata anche la dimensione del Comune, l’individuazione dei due interessati sarebbe stata possibile solo incrociando altri dati, oltre a quelli riportati nelle delibere pubblicate;

c) non era stata fornita allegazione e/o prova di alcuno specifico “danno” riportato in conseguenza di detta pubblicazione.

L’ultimo punto merita particolare attenzione: una violazione (che comunque qui è stata esclusa) infatti, non porta automaticamente ad un danno risarcibile. Va esclusa sia la risarcibilità dei danni “che non superino una determinata soglia di serietà e gravità”, sia quelli che non sono allegati e provati nella loro consistenza ed entità.

(avv. Andrea Martinis)

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